Un po’ di chiarezza sull’olio di palma
Che cosa è questo olio di palma? Fa male alla salute? Distrugge le foreste? Perché non se n’è sentito parlare fino a qualche anno fa? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Come ci spiega Wikipedia: L’olio di palma e l’olio di semi di palma o olio di palmisto sono degli olii vegetali saturi non idrogenati ricavati dalle palme da olio, principalmente Elaeis guineensis ma anche da Elaeis oleifera e Attalea maripa. Nel 2007, con 28 milioni di tonnellate di produzione globale, era il secondo olio commestibile più prodotto, dopo l’olio di soia, che adesso potrebbe aver superato. È anche un componente o una materia prima importante di molti saponi, prodotti alimentari (come la Nutella), polveri detergenti e prodotti per la cura della persona (…) Dal frutto della palma da olio si ricavano olio di palma (dal frutto) e olio di palmisto (dai suoi semi): entrambi sono solidi o semi-solidi a temperatura ambiente, ma con un processo di frazionamento si possono separare in componente liquida (olio di palma bifrazionato, usato per la frittura) e solida. Ok, facciamo finta (…) che io non ci capisca niente di queste cose, e spieghiamo per filo e per segno che cosa significa tutto ciò, cercando di usare i termini più semplici possibili. L’olio di palma è un grasso saturo. Generalmente gli oli vegetali sono grassi insaturi, ovvero quelli che non fanno aumentare il “colesterolo cattivo” ma solo quello “buono” (qui ve lo spiega Wikipedia). I grassi saturi, principalmente grassi animali (come il burro, per intenderci), fanno aumentare invece il cosiddetto “colesterolo cattivo”. L’olio di palma è un grasso saturo, il che lo accomuna, in quanto a effetti sull’organismo, più o meno al burro. L’olio di palma, però, è un grasso non idrogenato. L’idrogenazione è un processo chimico che potete trovare spiegato con cura su Wikipedia, e anche questo sito mi pare che dia una spiegazione piuttosto esauriente e ricca di esempi basata su manuali di nutrizione clinica. Vi basti sapere che tramite questo processo i grassi liquidi diventano solidi. Questi grassi vengono usati in un sacco di snack confezionati, sia dolci (merendine, ad esempio) che salati (patatine in busta) e si ritrovano in gran parte degli alimenti da fast food. È ormai appurato da anni che i grassi idrogenati sono dannosi per la nostra salute in quanto contenenti molecole lipidiche di grassi trans; già nel 2002 l’Accademia Nazionale delle Scienze degli USA ne ha raccomandato la totale eliminazione dalla dieta. Un’altra spiegazione esauriente qui. Da allora l’olio di palma ha conosciuto una rapidissima diffusione in quanto valida alternativa a tali grassi, di cui era ormai stata appurata la nocività per l’alimentazione umana. Inoltre, nel 2015 è entrato in vigore l’obbligo di specificare il tipo di grassi vegetali nelle etichette degli ingredienti dei prodotti confezionati e questo ha scoperchiato il vaso di Pandora, poiché si è scoperto che in tanti, tantissimi prodotti è presente il suddetto olio di palma. Dunque: l’olio di palma è un grasso saturo vegetale, fa più o meno male quanto ne fa il burro (ovvero per niente o quasi, se utilizzato con moderazione, un po’ come tutte le cose), ma nemmeno lontanamente quanto altri grassi trattati chimicamente, ed è per questo motivo che negli ultimi anni è andato a sostituire in moltissimi prodotti alimentari i grassi idrogenati di cui si sconsiglia l’utilizzo, in quanto dannosi per la salute. Allora perché siamo stati tanto bombardati da informazioni confuse e a volte contraddittorie che demonizzano i prodotti che lo contengono? Le obiezioni al suo utilizzo sono principalmente queste tre: andiamo ad analizzarle e cercare di chiarire. Lo sfruttamento da parte delle multinazionali Si è detto che l’olio di palma è l’ennesimo prodotto che arricchisce le multinazionali a scapito degli abitanti dell’Indonesia e della Malesia che sono i maggiori produttori di olio di palma, con una produzione superiore al 90% del totale mondiale. Si parla di land grabbing, ovvero della sottrazione delle terre ai legittimi proprietari da parte delle solite, cattivissime multinazionali. Ma, come spiega questo interessante articolo, da una parte il land grabbing è in evoluzione, dall’altra non esistono monitoraggi e dati complessivi, ma soltanto casi studio. (…) non abbiamo a che fare con una semplice compravendita arcaicamente colonialista. È un coacervo di investimenti in costante espansione. Un giro di miliardi di dollari. Un trend economico globale. Ovvero è un fatto nuovo, ancora in fase di studio, ma come possiamo leggere in questo articolo, l’Indonesia non è un paese del terzo mondo, poverissimo, da sfruttare, ma un paese che sta diventando una potenza economica funzionante e in espansione, e le coltivazioni di palma da olio sono uno dei motori di questa espansione, che negli ultimi anni ha portato il PIL a una continua crescita. E il fatto che possano esserci dei soprusi da parte di parti economicamente interessate alla produzione non è in nessun modo legato al tipo di coltivazione: la faccenda sarebbe complessa e delicata anche se si trattasse di coltivazioni di caffè, zucchero, girasole, o di qualsiasi altro prodotto coltivato in situazioni prive di legislazione chiara ed equilibrata. Per il momento si è istituita una “tavola rotonda” atta a controllare e cercare di regolamentare la situazione a livello internazionale e renderla più sostenibile possibile, la RSPO, ovvero Roundtable on Sustainable Palm Oil. Ad esso hanno aderito anche aziende poste eticamente sotto accusa come la Ferrero, che cerca in questo modo di dimostrare di essere attenta all’ambiente e ai diritti dei lavoratori, nonostante animalisti e ambientalisti da anni cerchino di demonizzarla ad ogni soffio di vento; l’olio di palma, ovviamente, non ha fatto eccezione, in quanto uno dei principali ingredienti della Nutella. Come ci spiega Strade, però, bisognerebbe cercare di vedere la situazione nella giusta prospettiva e non soltanto ergersi a giudici dei comportamenti altrui Preoccupazioni per l’ambiente Strettamente collegate alle sopracitate malefatte delle multinazionali si sono presentate preoccupazioni per l’ambiente e l’ecosistema che, secondo gli ambientalisti, verrebbe distrutto a ritmi folli e senza nessuna remora, tant’è vero che se si continuasse a questo ritmo l’intera superficie forestale dell’Indonesia dovrebbe essere rasa al suolo entro pochi anni. Questo non è vero, poiché se da una parte si assiste a una parziale deforestazione per fare spazio alle coltivazioni di palma da olio, dall’altra questa deforestazione è strettamente controllata e l’Indonesia è sempre stata ligia (al contrario di molti paesi occidentali) al rispetto degli accordi internazionali con i quali ha garantito di mantenere la superficie verde originale al di sopra del 50%. In parte ovviamente la superficie di foresta originale si sta riducendo, ma chi siamo noi per giudicare se sia più importante che far decollare l’economia di un paese che è sempre stato considerato “terzo mondo” e che sta cercando di svilupparsi grazie a queste coltivazioni? Le specie animali che si vogliono a tutti costi proteggere verranno comunque protette perché il loro habitat non verrà distrutto come viene catastroficamente predetto dalle associazioni animaliste occidentali, e se verrà ridotto dobbiamo augurarci che le nostre preoccupazioni vengano condivise anche dai diretti interessati i quali si occuperanno, nel momento in cui riusciranno a sopravvivere dignitosamente, anche di preservare quelle specie in via di estinzione che hanno il loro habitat naturale nelle aree interessate.Le domande che, secondo me, bisognerebbe porsi al riguardo sono essenzialmente due: 1) perché in Italia e in Europa abbiamo potuto sviluppare l’economia a scapito della superficie delle foreste che ricoprivano parte delle aree che sono state destinate nelle ultime decine o centinaia di anni alle coltivazioni tipiche delle nostre economie, mentre quando cercano di farlo economie emergenti questa pratica viene demonizzata? Vi è più attenzione per l’ambiente al giorno d’oggi, o per caso ci sono interessi economici in gioco anche da parte nostra? (L’ormai celeberrima petizione de Il Fatto Alimentare che chiede che venga sostituito l’olio di palma con altri oli vegetali o con il burro – come abbiamo visto, una richiesta insensata – è appoggiata dalla Great Italian Food Trade, azienda che si occupa di import/export di prodotti italiani); 2) chi condanna la coltivazione della palma da olio come insostenibile per l’ambiente e auspica la sua sostituzione con altri tipi di vegetali da olio, ha sotto mano dati che permettano di considerare l’olio di palma meno sostenibile da un punto di vista ambientale, rispetto agli oli vegetali di cui si auspica la coltivazione al suo posto? Infatti, come spiegava Giordano Masini su Strade, in un articolo che puntualizzava tutti gli errori commessi da Report in un grossolano servizio del 2015, bisognerebbe fare il paragone tra le coltivazioni di palma da olio e quelle degli eventuali sostituti per rendersi conto dell’assurdità della richiesta. Il rapporto tra il terreno coltivato e la resa del prodotto è di svariate volte migliore nel caso della palma da olio rispetto a praticamente tutti gli altri oli vegetali disponibili per l’industria alimentare. Infatti un ettaro di palme da olio produce 7 volte l’olio che produce un ettaro di girasoli. Questo vuol dire che se l’industria fosse costretta a sostituire l’olio di palma con altri oli vegetali, dovremmo destinare alla produzione di olio molta più terra coltivabile, a parità di domanda. E la superficie coltivabile, quando aumenta, lo fa necessariamente a scapito degli ecosistemi naturali, foreste comprese. Inoltre la coltivazione della palma da olio richiede meno input energetici (acqua, pesticidi, fertilizzanti, carburante) rispetto alle alternative, ed è enormemente più produttiva. Questo non dovrebbe garantire all’olio di palma un trattamento di favore da parte dei governi, ma nemmeno ostacoli: quando si parla di sostenibilità, questi sono fatti che andrebbero tenuti in considerazione. Considerazione che invece, a quanto pare, non esiste in questo caso. La deforestazione esiste e sarebbe bellissimo se non ce ne fosse bisogno, ma le alternative purtroppo sono ancora meno sostenibili. I problemi per la salute Si è letto di tutto in merito all’olio di palma: che causa problemi cardiovascolari, il diabete e addirittura il cancro. Come ho scritto sopra, l’olio di palma è un grasso saturo. I grassi saturi, se consumati in grosse quantità e per lungo tempo, possono portare a problemi di salute; come tutto quello che ingeriamo, acqua compresa, i grassi vanno assunti con moderazione, figuriamoci poi se si tratta di grassi saturi. Quale dottore vi consiglierebbe di ingerire dosi illimitate di burro? Purtroppo l’olio di palma è spesso contenuto negli snack che piacciono tanto ai bambini, e questo può portare preoccupazioni ai genitori. Semplicemente non è salutare mangiare quantità eccessive di snack dolci o salati; ma questo è un problema legato alle abitudini alimentari dei singoli, non agli ingredienti in se stessi. Se l’olio di palma venisse sostituito dal burro o da altri grassi saturi, il problema rimarrebbe esattamente lo stesso. E ricordiamo che l’utilizzo dell’olio di palma è cresciuto negli ultimi anni proprio per andare a sostituire i grassi idrogenati, quelli sì, dannosi anche in piccole quantità; e gli oli vegetali non saturi non sono adatti per l’utilizzo come ingredienti in determinate ricette in quanto eccessivamente liquidi (si presenterebbe quindi la necessità di idrogenazione); in altre ricette invece, come le fritture, si rende indispensabile un prodotto economico, poiché nessuno è disposto a pagare quello che costerebbe una porzione di patatine se fossero fritte nell’olio extravergine d’oliva. È stato pubblicato uno studio dell’Università di Bari che mette in collegamento una proteina dannosa per il pancreas con il consumo di acido palmitico nell’insorgenza di un tipo di diabete; l’acido palmitico è caratteristico dell’olio di palma, ma è contenuto anche in altri grassi saturi ed è presente in quantità degne di nota anche in formaggi, carne e burro. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità attribuisce all’acido palmitico un effetto aterogeno ed ipercolesterolemizzante, che incide negativamente sul rischio cardiovascolare; gli stessi rischi, però sono associati anche ad altri acidi contenuti nei grassi saturi. Inoltre, come viene spiegato su Wired con la consulenza della dottoressa Laura Rossi, delegata italiana per il Consiglio Fao la notizia riguarda (…) uno studio sperimentale fatto in vitro, dove gli scienziati hanno perfuso cellule di pancreas con del palmitato – che, ricordiamo, non è olio di palma, ma uno dei suoi componenti – e le cellule hanno registrato un danno. “Ma questo non significa assolutamente che mangiare l’olio di palma faccia venire il diabete 2”, chiarisce sempre Rossi, “perché quella situazione sperimentale, anche se fatta molto bene, non può essere assolutamente tradotta in un effetto diretto sull’organismo”. Il discorso sull’alimentazione, insomma, è ben diverso dal prendere una molecola e una cellula e vedere che succede, e non è possibile trasformare in un messaggio sull’uomo ciò che ancora è lontanissimo dall’uomo, come questo test. Insomma, come in molte altre situazioni, quello da tenere a mente è che l’utilizzo eccessivo può creare potenziali problemi, e che il singolo nutriente non rovina la salute come succede invece nel caso di un contesto dietetico scorretto. Ma questo non succede nel caso dell’olio di palma in quanto tale; succede in caso di eccessivo utilizzo di grassi saturi, come succede anche nel caso che si utilizzino quantità eccessive di zucchero, o di proteine, o di qualsiasi altro nutriente. Ficcare in mano uno snack al cioccolato ai propri figli ogni qualvolta chiedono la merenda, perché non si ha tempo o voglia di preparare loro qualcosa di più salutare, è un problema creato dall’olio di palma? Verrebbe risolto dall’utilizzo di burro al suo posto? No, poiché non è stato risolto nemmeno dall’eliminazione dei grassi idrogenati e non verrebbe comunque risolto nemmeno se invece che uno snack al cioccolato ficcassimo in mano ai nostri figli una fetta di torta fatta in casa composta al 75% di burro: la cattiva alimentazione rimarrebbe tale, e la sostituzione di un grasso con un altro non ci allontanerebbe dalle malattie cardiovascolari, dal diabete o dall’obesità. Si leggono molte, moltissime notizie di ogni genere riguardo all’olio di palma, e durante la stesura di questo articolo mi sono imbattuta in decine di pagine che, a un fact checking anche superficiale, si sono rivelate piene di dati non verificabili, catastrofici, palesemente falsi o che riconducevano al solo olio di palma informazioni che riguardano invece una ben più ampia gamma di ingredienti e/o nutrienti. Non so quanta malafede ci sia dietro, e in quale misura si stia cercando di attirare l’attenzione sull’olio di palma, millantando rischi per la salute diversi da quelli che potrebbe portarci qualsiasi alimento che mettiamo sulla nostra tavola quotidianamente, perché si può pensare che le preoccupazioni ambientali, che sono quelle più giustificate, possano venir considerate meno di quelle riguardanti la salute; ma ciò non toglie che si tratti di falsità, di allarmismo, di bugie create per portare acqua al mulino di un ideale che, come al solito, vogliamo credere che sia l’unico giusto e condivisibile senza considerare l’altra campana, quella dei coltivatori del Sud-Est Asiatico che cercano di inserirsi nell’economia mondiale con prodotti competitivi e, mi preme moltissimo sottolinearlo, molto più sostenibili ed economici, anche in termini ambientali, delle alternative. Cito ancora una volta l’articolo di Giordano Masini su Strade: Quella contro l’olio di palma è la classica campagna dalla quale un politico può solo guadagnare: permette di apparire, nello stesso tempo, come difensori dell’ambiente e della salute, mentre chi dalla campagna potrebbe essere danneggiato è talmente distante da non procurare alcun timore per l’immagine e il consenso. lI Ministero della Salute nel 2016 pubblicò sul suo sito il proprio parere “sulle conseguenze per la salute dell’utilizzo dell’olio di palma come ingrediente alimentare”, basandosi su un documento prodotto dall’Istituto Superiore di Sanità, confermando quanto sostenuto da noi di Butac, ovvero: La letteratura scientifica non riporta l’esistenza di componenti specifiche dell’olio di palma capaci di determinare effetti negativi sulla salute, ma riconduce questi ultimi al suo elevato contenuto di acidi grassi saturi rispetto ad altri grassi alimentari. Evidenze epidemiologiche attribuiscono infatti all’eccesso di acidi grassi saturi nella dieta effetti negativi sulla salute e, in particolare, un aumento del rischio di patologie cardio-vascolari. (…) L’Istituto Superiore di Sanità conclude che non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l’olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/poliinsaturi, quali, ad esempio, il burro. Si ribadisce che il consumo di grassi saturi va limitato, specialmente in determinate fasce di popolazione (bambini, anziani, soggetti diabetici ecc), ma che non vi è alcuna differenza, da un punto di vista nutrizionale, tra l’olio di palma e altri alimenti che apportano grassi saturi nelle stesse quantità.