Aglio, olio e psicologia

Il mangiare non soddisfa solo un bisogno fisiologico: in campo c’è la costruzione della nostra struttura identitaria.
Amico, nemico. Talvolta ci fa penare, spesso però ci tira su e in un batter d’occhio ci porta ad addentrarci nell’esperienza unica di coglierne sapore, aroma deciso ed equilibrio complessivo: il cibo, il nostro compagno irrinunciabile. E forse è proprio questa continuità con lui a renderlo motivo di dibattiti e diatribe se non addirittura a incriminarlo. Ma non è il cibo ad autocondannarsi, sono i pensieri che ci creiamo su di esso che ci conducono a considerarlo e a giudicarlo come più o meno “buono”.
E se è vero che l’atto del nutrirsi inizia non appena approdiamo al mondo, ne abbiamo di strada da percorrere per costruirci con questo momento fondamentale un pensiero libero e lontano da giudizi continui.
Il cibo è senz’altro un bisogno primario. Appena si nasce, ci si conosce inizialmente come esseri “dipendenti” da coloro che possono darci nutrimento. Questa dipendenza si dissipa pian piano, fino a renderci pienamente e orgogliosamente protagonisti delle nostre scelte alimentari. Si pensi solo all’orgoglio del bambino che per la prima volta impugna forchetta o cucchiaio e, con tutti gli escamotage del caso, afferra un rigatone al sugo. 
Il nutrirsi però non soddisfa unicamente un bisogno biologico. Il cibo, inscritto in un contesto ben codificato, carico di senso e di simboli, è connotato sin da subito da un aspetto relazionale e comunicativo. Il caregiver accompagna il bambino in questo percorso di conoscenza e di insegnamento su come trarre piacere dall’atto di alimentarsi. E così benessere fisiologico e relazionale si fondono per creare le basi su cui si erge l’identità e la fiducia che riporrà in sé ognuno di noi.
Il comportamento alimentare che pian piano si farà strada nella vita di ciascuno nasce dal significato che il momento del pasto ha avuto nelle varie fasi della nostra vita. Di queste fasi parleremo in questa nostra rubrica.