A cura di Nicola Ferraro
Il racconto della storia riscritto a tavola.
I fatti piccoli e grandi del passato che hanno condizionato il modo in cui oggi mangiamo.
UN BACIO LUNGO CENTO ANNI
La storia minima, quella che si afferma attraverso il lancio di un cioccolatino, di una bibita, di una penna, a volte è destinata a surclassare quella che ampollosamente si definisce con la esse maiuscola iniziale.
Il fascismo nato nel 1922 è un doloroso ricordo rinverdito vergognosamente oggi da poca gente nata decenni e decenni dopo, mentre i Baci Perugina, che videro la luce anche loro proprio in quello stesso anno, godono ancora oggi di una salute invidiabile e per nulla contestata.
Perugia: penultima ultima tappa di quella tragica Marcia su Roma che portò al governo Mussolini ma anche città della fabbrica del cioccolato, capostipite in Italia di un’industria, minoritaria ma sempre molto viva, attenta anche ai tempi di vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Sogni (o forse chimere) industriali che si possono contare sulla dita delle mani: Perugina, Olivetti, Diesel, Cucinelli (ritorna di nuovo l’Umbria)…
Fu Luisa Spagnoli (una vita spesa tra industria alimentare e abbigliamento di livello mondiale, https://umbriatua.it/vera-storia-luisa-spagnoli/), a volere il recupero degli scarti di lavorazione di alcuni tipi di cioccolato attraverso la fabbricazione di un prodotto nuovo che all’inizio doveva chiamarsi “Cazzotto”. Questo nuovo cioccolatino conteneva crema gianduia, granella di nocciole e una nocciola intera; il tutto era ricoperto di cioccolato fondente “Luisa”. Proprio la nocciola sporgente in superficie faceva sembrare il nuovo prodotto una mano chiusa nell’atto di sferrare un pugno.
Quest’industria alimentare umbra, avanti di decenni nella gestione del personale, nella gestione economica, nell’innovazione tecnologica e nella comunicazione pubblicitaria lo era anche per quanto riguarda il costume. Luisa Spagnoli e il giovane socio Giovanni Buitoni non facevano più di tanto mistero del profondo rapporto amoroso che li legava in quello che fu anche un lunghissimo adulterio. Fu Giovanni a volere cambiare il nome da Cazzotto a Bacio e a mettere il famoso bigliettino in carta velina all’interno della confezione. Era una frase d’amore ripresa dagli autori letterari e teatrali più importanti di ogni tempo. Ma quel pezzettino di carte velina era la celebrazione (industriale) dei messaggi d’amore che Luisa e Giovanni si scambiavano in azienda e di cui tutti sapevano. Un atteggiamento, questo, che non avrebbe vita facile oggi in alcun contesto di vita sociale in Italia come all’estero (https://www.raiplay.it/video/2016/06/LUISA-SPAGNOLI—STAGIONE-1—EPISODIO-1-9baae373-9b19-4023-9f97-b4f358da0e9a.html), (https://www.raiplay.it/video/2016/06/LUISA-SPAGNOLI—STAGIONE-1—EPISODIO-2-5c28e742-a79a-486f-914e-7e2738a58367.html).
Ma la genialità anticipatrice di questi due imprenditori si esplicò anche in ambito comunicativo. Le campagne di lancio di questo nuovo prodotto vennero affidate a Federico Seneca, assoldato dall’azienda come direttore artistico per curare l’immagine dell’azienda e dei prodotti in un momento in cui l’Italia e l’Umbria erano realtà economiche agricole, per giunta arretrate nel panorama europeo. Federico Seneca, pittore, grafico, pubblicitario e direttore artistico della Perugina negli anni Venti (https://www.treccani.it/enciclopedia/federico-seneca_%28Dizionario-Biografico%29/) inventa la coppia di amanti su sfondo blu, ispirandosi al celebre Bacio di Hayez (https://www.analisidellopera.it/francesco-hayez-il-bacio/) e progetta da abile grafico anche la scatola cartonata, utilizzabile come presente, con superficie superiore in rilievo: rimarrà immutata per decenni e presente in tutte le case degli italiani come contenitore temporaneo di foto, monete, francobolli…
La stessa azienda, in fine, anticiperà di almeno tre decenni l’entrata dell’Italia nell’era del consumismo attraverso un fortunatissima raccolta pubblicitaria di figurine collegate ad uno spettacolo di varietà radiofonico: “I quattro moschettieri” (https://www.raiplaysound.it/audio/2019/10/WIKIRADIO—I-4-moschettieri-d755e3c9-05ae-4972-9505-c18eb76e2382.html), (https://archivio.quirinale.it/aspr/gianni-bisiach/AV-002-000281/11-novembre-1934-i-4-moschettieri-alla-radio).
Era il 1934, l’Eiar (che dopo il fascismo cambierà nome per chiamarsi Rai) gestiva le trasmissioni radiofoniche iniziate 10 anni prima per 400.000 italiani. La trasmissione sponsorizzata dalla Perugina rappresentò un fenomeno di costume importantissimo perché decretò la fortuna commerciale dell’industria alimentare umbra ma segnò anche l’affermazione della radio come primo mezzo di comunicazione di massa in Italia dopo il cinematografo, considerato dal regime fascista (e non a torto) l’arma vincente per la raccolta del consenso: è ancora infatti, immutabile nelle nostre orecchie e in quel doloroso e oscuro tempo passato, la voce di Guido Notari (https://www.youtube.com/watch?v=U1gzJXXCk68), lo speaker ufficiale del regime sia nei cinegiornali che alla radio (https://www.youtube.com/watch?v=4sgI_8wFRWI).
Nicola Ferraro
IL “MAL D’AFRICA” AL SUPERMERCATO
Non solo spaghetti: la pasta italiana al vaglio della storia patria e della rivoluzione verde di Nazzareno Strampelli e del Senatore Cappelli
Un’operazione di marketing, in ossequio al principio “parlate male di me ma parlatene” coniato da Oscar Wilde (“Il manuale del perfetto impenitente”), può risultare vincente anche quando è vissuta un po’troppo pericolosamente?
L’interrogativo è stato fatto proprio dal pastificio La Molisana che, in una spericolata operazione culturale tra storia e nostalgia, ha ribattezzato alcuni formati di prodotto con i nomi che utilizzava durante Ventennio: “Abissine” invece di conchiglie rigate, “Tripoline” al posto di farfalline… In ricordo (una rievocazione semplicemente storica, secondo l’azienda) di un’epoca coloniale di cui non possiamo andare fieri ma che certamente è esistita ed è stata fatta accettare agli italiani del tempo anche attraverso i nomi di prodotti alimentari che tutti avrebbero conosciuto perché erano tra i pochi che all’epoca tutti potevano permettersi.
Ma sembrano non bastare nemmeno l’intervento autorevole e, almeno sulla carta, definitivo dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia https://www.msn.com/it-it/notizie/politica/polemica-su-pasta-abissina-anpi-difende-azienda-molisana/ar-BB1cuwQH), che ha preso le difese della famiglia titolare dell’azienda, e quello dell’autorevole Gambero Rosso (https://www.gamberorosso.it/notizie/la-molisana-e-i-formati-di-pasta-fascisti-storia-di-unaggressione-incredibile/) a placare le polemiche.
Sui social infatti imperversa una battaglia mediatica: neofascisti isolati o riuniti in congreghe più o meno virtuali inneggiano a quel pastificio e invitano al consumo della pasta prodotta da quella industria, osteggiati con grande clamore informatico da antifascisti. In ogni caso soltanto il prossimo bilancio di questa industria alimentare dirà se quella operazione commerciale spericolata (ad arte o per ingenuità) meritava di essere avviata.
Il vero problema di questa vicenda non sembra però il nome riproposto alle conchiglie rigate ma piuttosto l’esistenza di nostalgici di un regime nel quale non hanno vissuto e che in troppi conoscono in maniera sommaria: se ci fossero nostalgici militanti dell’Impero Romano anche l’esistenza dell’Ara Pacis sarebbe in discussione e in pericolo.
Mentre lasciamo ai sociologi e agli storici le notazioni sugli eccessi contemporanei del “politicamente corretto” (quello che mette a dura prova, o vorrebbe persino cancellare, le testimonianze di un passato tragico: che è da studiare, non da dimenticare) vale forse la pena di ricordare che anche la storia del cibo è fatta di nomi fatalmente rievocatori di umori, convenzioni, mode… ovvero il comune sentire di altre epoche.
Durante il Fascismo, mentre le farfalline venivano commercializzate col nome di “Tripoline”, il grano con cui erano prodotte si chiamava, senza alcun senso del ridicolo, Alalà, Ardito, Balilla, Littorio o con i nomi degli eredi di Mussolini: Bruno, Edda e Rachele. Ma intorno a questi nomi ridicoli c’è un mondo sconosciuto di ricerca scientifica silenziosa, rigorosa e spesso geniale che, come afferma Anna Prandoni su Linkiesta https://www.linkiesta.it/2021/01/abissine-pasta-fascismo- grano/: “Passa da un mancato premio Nobel, Nazareno Strampelli, che creò le varietà di grano Balilla, Littorio e molte altre. Le royalties sulle vendite del grano di quegli anni (un po’ in tutto il mondo, anche in Cina e in Russia), permisero notevoli incassi. Fu la “faccia nascosta” della battaglia del grano.
Il ricordo delle campagne coloniali italiane è tra gli scaffali del supermercato. Ma quello del regime fascista è anche nei campi coltivati. Non ci sono solo le Tripoline e le Abissine tra i tipi di pasta che lo ricordano. È una questione ben più grande, che parte dalla sua filiera produttiva. Il grano che oggi, in genere, viene trasformato in spaghetti, rigatoni, conchiglie deve buona parte della sua origine dalle “Sementi elette”, le cultivar di frumento realizzate dall’agronomo italiano Nazareno Strampelli, padre di quella “Rivoluzione verde” che permise di sfamare meglio mezzo mondo”.
Nazareno Strampelli nasce nel 1866 a Crispiero di Castelraimondo in provincia di Macerata.
Nel 1900, l’agronomo Strampelli, pur senza conoscere Mendel e le leggi fondamentali della Genetica, inizia ad incrociare due varietà di grano resistenti a due diverse malattie (l’allettamento e le ruggini) nel tentativo di ottenere una nuova varietà capace di sopravvivere a queste due patologie vegetali.
L’esperimento fallisce ma viene continuato a Rieti, sede di una nuova cattedra sperimentale in Granicoltura. In questo luogo il ricercatore viene a conoscenza delle sperimentazioni di Mendel e riproduce le sue ibridazioni sul grano secondo le stesse modalità operative del monaco-scienziato ceco. I nuovi esperimenti non solo hanno successo ma danno avvio, in campo agricolo, alla coltivazione una serie di nuove varianti destinate a rivoluzionare la coltura del grano nel mondo. Tra queste le più promettenti di resa nella coltivazione vennero dette “sementi elette” e, la più importante, rimane la varietà “Grano duro Senatore Cappelli”, ancor oggi molto importante per le sue pregiate caratteristiche nutrizionali.
Siamo nel 1915, il latifondista foggiano marchese e senatore Cappelli è al culmine della sua carriera diplomatico-politica iniziata in modo brillantissimo come artefice del trattato internazionale della Triplice Alleanza (1882). Egli mette a disposizione di Strampelli tutti i terreni necessari alla sperimentazione delle nuove sementi sul campo. Come omaggio personale l’agronomo marchigiano dedica al Senatore il nome della nuova varietà più ricca di caratteristiche positive scoperte sulle sue terre.
Dal 1920 Benito Mussolini entra in stretto contatto con lo scienziato marchigiano e decide di utilizzare le sementi elette, ibridate da Strampelli, come arma principale della sua “Battaglia del grano”, il programma pluriennale per far diventare l’Italia autosufficiente nella produzione di pasta e pane. In pochi anni e le rese aumenteranno fino al 60%. Come riconoscimento del valore scientifico delle sue ricerche Nazareno Strampelli viene nominato (nonostante la ritrosia dello scienziato) Senatore del Regno nel 1929.
Ma il ruolo preminente dell’Italia nel settore di ricerca per il miglioramento del grano non finisce qui. Nel Dopoguerra, presso i laboratori del Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile nel quale è compreso il CNRN, Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari) viene brevettato, attraverso mutazioni indotte dai Raggi X, il cosiddetto “Grano di Creso”. È una nuova rivoluzione italiana in campo agricolo che dura dal 1975, grazie alla taglia ridotta della pianta (è alta circa la metà degli altri grani duri e rende quindi più facile ed economica la mietitura) e alla sua resa (doppia rispetto ad analoghe varietà) e rappresenta per l’Italia:
• il 50% della produzione di grado duro nazionale
• un incasso per diritti da brevetto di un milione e 678 mila euro.
Il nome della nuova pianta evoca prosperità facilmente ottenibile e ricchezza: una dizione politicamente corretta perché in linea con il sentire comune, le aspirazioni, gli obiettivi dell’ultimo trentennio dell’altro secolo. Ma la sua articolata storia racconta anche i molti luoghi comuni che circolano all’estero sull’Italia e le nostre paure (non soltanto italiane) per il nucleare… Una vicenda che è lo specchio della nostra storia recente, interessante e che merita un nuovo racconto e non soltanto un accenno.